sabato 10 ottobre 2015

Intervista a Lojarro Daniela

Presentati.
Sono una donna appassionata e passionale che vive sempre tutto sulla sua pelle. Ho avuto il dono della voce che ho potuto sviluppare grazie all’appoggio dei miei genitori e di mio marito che mi hanno sostenuto nelle mie scelte di carriera e repertorio. Ho superato molti scogli durante il mio percorso artistico e di tutte le dimensioni: ho lavorato sodo per raggiungere gli obiettivi che desideravo. La tensione che si creava in teatro, però, quando percepivo che il pubblico era coinvolto, era un’esperienza straordinaria e meravigliosa che ha sempre ripagato le ore di studio e anche tutte le cattiverie e malignità che negli ambienti di lavoro competitivi si devono ingoiare. L’affetto con cui i fans ancora oggi mi scrivono e mi contattano testimonia che certi legami restano nel tempo e nonostante la lontananza. Dal palcoscenico e dalla vita “raminga” del cantante lirico in giro sui palcoscenici di tutto il mondo in questi ultimi anni sono passata alla musico-terapia. Questo cambiamento ha significato anche un nuovo periodo di studio nel quale mi sono buttata a capofitto sostituendo spartiti e libretti d’Opera con elenchi di organi, muscoli, ossa, patologie dell’orecchio, malattie del sistema immunitario … . Ora, sono i progressi dei bambini nello sviluppo della lingua e della comunicazione oppure delle persone anziane che tornano a provar gioia nella conversazione e nel comunicare a ripagarmi di questa metamorfosi. Coltivo sempre e comunque la passione per la musica (mi esibisco ancora in concerti), la lettura, i viaggi, la cucina (tra un capitolo e l’altro o tra una seduta di terapia e l’altra sforno torte, pizze, lasagne …).

Come è nata la passione per la scrittura?
Fin da bambina scrivevo storie che poi mettevo in scena con le mie amiche. Il desiderio di scrivere, o meglio, la “necessità” di scrivere si è incuneata fra l’attività artistica e quella di terapista, precisamente durante un periodo di pausa che mi ero concessa per capire su quale strada volevo incamminarmi poiché girare il mondo per cantare iniziava a starmi stretto. Un’estate nelle Marche, precisamente nella Gola del Furlo, fui folgorata da un’idea: usare quella galleria scavata nella roccia, quella antica strada romana a picco sul torrente e rinchiusa fra pareti ripide come un passaggio per un altro mondo. E così è stato. Quella notte e nei giorni successivi la storia, i personaggi principali si sono come manifestati diventando sempre più netti e “obbligandomi” a scrivere. Ho usato non a caso il verbo “obbligare”. Per un musicista l’unico vero linguaggio è quello della Musica, superiore a qualunque lingua: io ho combattuto con me stessa per decidermi a usare le “parole”. Poi, ho capito che Scrittura e Musica non sono mondi distinti, separati: entrambi nascono dall'ascolto, dall'impulso e dal desiderio di comunicare/rsi. Cantare o far musica è cercare di conferire alle note quel colore che possa trasmettere il movimento dell'animo che sta alla base del pensiero creativo del compositore a chi ascolta. Scrivere è cercare la parola, fra tutte quelle che usiamo abitualmente nelle relazioni sociali, capace di suscitare nel lettore la vibrazione legata all'emozione come se la stesse vivendo o rivivendo. Per questo in entrambi i casi è un lavoro di rifinitura, di attenzione e di tensione (nel senso del divenire del tendere a qualcosa) fino a che non ho trovato la risonanza che mi pare più consona, l'accordo che fa vibrare che mette in risonanza scrittore e lettore. In fondo musica e parole hanno radice comune: la vibrazione, l’onda sonora che nel romanzo io definisco Suono Sacro che in fisica si misura in hertz.

Qual è il tuo stile?
Il mio è un romanzo fantasy in cui alterno monologhi riflessivi dei personaggi, scene di dialoghi con grande attenzione ai dettagli espressivi del tono della voce, degli eventuali tic, delle reazioni fisiche a movimenti d’animo, emozioni o ai fatti che stanno accadendo. Ritengo molto importante anche differenziare, soprattutto in questo genere, il vocabolario e l’atteggiamento vocale dei personaggi in relazione alla loro posizione sociale. Essenziale, inoltre, le descrizioni dei paesaggi o degli ambienti per permettere al lettore di entrare nel mondo che ho creato con la mia fantasia e lasciarsi avvolgere dalle atmosfere in cui vivono i personaggi.

Il genere letterario che preferisci di più?
Probabilmente il romanzo storico ma deve essere accurato altrimenti si rivela un polpettone. Adoro per questa ragione Iain Pears, Eobert Graves, Marguerite Yourcenar e anche i nostri Simonetta Agnello Hornby, Rita Monaldi e Francesco Sorti, Laura Mancinelli. Amo i grandi romanzieri francesi: Hugo, Zola, Dumas. Tariq Alì, Éliette Abécassis, Jack Whyte e per il fantasy il mio modello è senza ombra di dubbio Marion Zimmer Bradley.

Quale genere letterario non ti piace?
Non leggo romanzi rosa e urban fantasy, storie di angeli e streghe e vampiri.

Come nascono le tue storie?
Le mie storie nascono sempre da fortissime impressioni ricevute visitando luoghi particolari o siti archeologici. Lo sviluppo mi prende molto tempo: si tratta di un periodo durante il quale prendo appunti su tutto quel che mi capita perché sovente le idee mi vengono mentre passeggio da sola nel bosco. Poi, scrivo di getto. Lascio “riposare” e riprendo in mano più volte completando a strati, ampliando, eliminando, spostando o inserendo nuovi personaggi. L’importante per me è avere un punto d’inizio fermo e la fine: la strada che percorro per arrivarci è in continua evoluzione e conosco anche periodi di rifiuto totale della scrittura.

In genere ti immedesimi nei tuoi personaggi?
Ogni autore cela qualcosa di sé nella storia e nei personaggi. Cesare Pavese diceva: «Scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che venga poi scoperto». I personaggi del mio libro nascono dall’osservazione di persone colte nella quotidianità in sinergia con la rielaborazione di emozioni, impressioni e ricordi personali. Abituata al lavoro in teatro, nello scrivere mi sono identificata in tutti. Per ogni frase o pensiero, ho sempre cercato di mettermi nei panni di quel personaggio e di farlo agire secondo la sua personalità, la sua condizione sociale e psicologica e per il fine che si proponeva di raggiungere, caratterizzandolo anche con espressioni mimiche o tic nervosi che possono apparire in momenti di tensione emotiva.

Come è nata la tua ultima opera? Vedi risposta 2

Stai lavorando a qualche altro libro?
Sto scrivendo una nuova storia per la saga del Suono Sacro: nuovi personaggi, nuove terre, un altro popolo … Cosa nascerà dall’incontro? O sarà uno scontro? Chissà! Non so ancora dove mi stiano portando i personaggi!
Il tuo sogno?
Mi piacerebbe visitare il medio oriente (Giordania, Siria), la Mezzaluna fertile, l’antica Persia … al momento un po’ difficile! Per due motivi: archeologia, architettura e possibilità di assaporare gli odori i profumi percepire i colori delle terre che sono state la culla della civiltà umana agli albori dell’epoca delle prime “città”.

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